Università di Pisa – Facoltà di Ingegneria

Corso di laurea in ingegneria edile-architettura – II Anno

Corso di storia dell’architettura – Prof.ssa Ewa Karwacka Codini

VILLE E GIARDINI BORBONICI NEL TERRITORIO VERSILIESE

Luca del Bigallo, Stefania Landi, Silvia Pieruccetti

Anno Accademico 2004 – 2005

L’ EVOLUZIONE DEGLI INSEDIAMENTI NEL TERRITORIO VERSILIESE

Il territorio versiliese interessato dal dominio borbonico, oggetto della nostra analisi, comprende i comuni di Viareggio, Camaiore e Massarosa. L’evoluzione delle tipologie insediative in questa zona è dettata dalla disomogeneità morfologica. La fascia litoranea si presentava come una grande palude malarica, pertanto fu possibile edificarvi solo in seguito alle opere di bonifica effettuate dalla Repubblica di Lucca nella seconda metà del Settecento: fu così che molte famiglie della nobiltà versiliese scelsero questi territori per costruire dimore residenziali dotate di giardini spaziosi. Già un precedente tentativo di bonifica fu messo in atto a fine Quattrocento che conseguì però solo risanamenti parziali: ciò comunque non impedì il diffondersi del fenomeno della villa. La zona collinare invece si presentava molo più favorevole agli insediamenti per la sua conformazione e per altri importanti fattori: le colline offrivano aria non inquinata grazie all’altimetria e alla conseguente buona ventilazione; il suolo, costituito da terra e roccia, era adatto a sostenere edifici in muratura; i tracciati pedemontani e collinari erano percorribili in ogni periodo dell’anno, al contrario delle scarse vie di comunicazione in pianura, spesso invase dalla palude; infine, un fenomeno che vincolò la scelta dei siti di abitazione è rappresentato dall’idrografia del territorio, infatti sorgenti e polle d’acqua garantivano un buon approvvigionamento e, laddove non erano presenti, si operò con opere di canalizzazione. La tipologia di villa più diffusa in collina e’ quella di tipo “padronale”, comprendente un ampio territorio annesso all’ edificio destinato a giardino, a bosco, ma per lo più ad uso agricolo.

I BORBONE: STORIA DEL LORO INSEDIAMENTO IN ITALIA ED IN TOSCANA

La dinastia dei Borbone ha attraversato la storia della Francia, della Spagna e dell’Italia.

La prima città italiana in cui si insediarono fu Napoli, con Carlo VII nel 1734; in seguito acquisirono i diritti dinastici sul ducato di Parma da Elisabetta Farnese, madre di Carlo VII. Filippo Borbone, infante di Spagna, acquisì il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla nel 1748.

  Sul finire del 1700, l’arrivo di Napoleone in Italia sconvolse la situazione della penisola: tolse infatti ai Borbone-Parma ogni potere. Con la restaurazione politica, attuata dal congresso di Vienna (1815) in seguito alla caduta dell’impero napoleonico, i Borbone tornarono nel territorio di Lucca con Maria Luisa, infanta di Spagna. Nel 1847 il Ducato di Lucca fu unito al Granducato di Toscana. Fu inoltre restituito a Carlo Ludovico, figlio di Maria Luisa, il Ducato di Parma insieme agli stati annessi di Piacenza e Guastalla.

  Analizziamo in dettaglio le ville presenti nel territorio versiliese che furono di appartenenza borbonica.

VILLA BORBONE A VIAREGGIO

La prima e più grandiosa villa nobiliare costruita sul territorio viareggino fu quella voluta da Ferrante Cittadella. Col congresso di Vienna i Borbone ottennero il dominio sul territorio di Lucca e della Versilia: Maria Luisa decise quindi, nel 1819, di acquistare villa Cittadella per trasformarla in una reggia.

La villa fu costruita presso il Canale Burlamacca nella zona litoranea, resa edificabile dall’opera di bonifica dell’ingegnere idraulico Bernardino Zendrini, eseguita a metà Settecento.

Maria Luisa aveva in mente un progetto molto ambizioso di trasformazione della preesistente villa in una ancor più maestosa residenza regale, e decise di affidarlo all’ ingegnere architetto Lorenzo Nottolini.

  Egli sviluppò il progetto basandosi su due nuclei principali: il vero e proprio palazzo reale nel centro urbano e il complesso del casino di caccia nella pineta di levante, congiunti da un viale alberato lungo cinque chilometri. Nottolini studiò anche una riorganizzazione del verde tra Viareggio e Torre del Lago, al fine di realizzarvi un parco-giardino alberato che difendesse l’asse dagli agenti atmosferici.

  La prima proposta del Nottolini prevedeva un considerevole aumento di cubatura, con la costruzione di un edificio speculare alla preesistente villa   Cittadella. I due palazzi dovevano essere uniti l’uno all’altro da un piu’ alto corpo centrale lungo 93 metri, dotato di colonnato neoclassico. In questo edificio avrebbero trovato collocazione una terrazza perimetrale, un mezzanino e un attico. Tutta questa parte era destinata a rappresentanza, mentre due corpi retrostanti, determinanti una U, con terrazze verso la facciata, costituivano la parte delle camere col disimpegno di lunghi corridoi centrali.

L’accostamento del settecentesco palazzo Cittadella con la congiunzione neoclassica apparve però al Nottolini troppo stridente, che si indirizzò verso una seconda proposta più fastosa su modello delle “residence-house”. Questo progetto riutilizzava le strutture della villa ma ne cambiava completamente la facciata. L’ accesso non sarebbe stato tramite le due scale delle palazzine gemelle attraverso i portici ad archi, ma dal centro, attraverso un corpo avanzato con scala e pronao di colonne ioniche terminato a timpano. Lateralmente si mantenevano due portici a colonne architravate con accesso dall’interno. I lavori, iniziati con la ristrutturazione della villa Cittadella nella parte interna e nella facciata in base al secondo progetto, furono interrotti  nel 1824, anno della morte di Maria Luisa. A porre fine ai lavori fu il figlio Carlo Ludovico, che non mostrò interesse per l’ ambizioso progetto della madre.

  Tuttavia il progetto per il casino di caccia, la cui realizzazione fu avviata nel 1822, venne portata a termine. Nel disegno originale il complesso del casino di caccia, era formato da tre edifici: uno centrale a tre piani e due ai lati di altezza minore. In seguito il progetto del casino ebbe una modifica riguardo all’ubicazione, infatti il luogo fu avvicinato a Viareggio di circa due chilometri e mezzo e il fronte fu ruotato verso mare, ma rimase comunque la separazione in tre corpi distinti. Il corpo centrale fu ridisegnato a due piani più un mezzanino, mentre i corpi laterali a forma di elle erano ad un solo piano con mezzanino nel sottotetto. Quest’ultima fu la soluzione realizzata. La facciata del corpo centrale del complesso era caratterizzata da un bugnato di intonaco fino all’altezza del primo piano, disposto a raggiera intorno a tre portali con arco a tutto sesto (ancora oggi riconoscibili nelle aperture tamponate in cui sono state ricavate le portefinestre); e similmente sul retro erano presenti tre archi a tutto sesto al cui interno si aprivano tre finestre (questo sistema fu in seguito rielaborato magistralmente dal Nottolini nel Palazzo Ducale di Lucca). Al secondo ordine, sia sul fronte est che sul fronte ovest erano presenti tre finestre in asse con quelle del piano inferiore, di impostazione classica coronate da mostre a cimasa piana sormontata da cornice in marmo di Carrara. Infine nel sottotetto si aprivano tre mezze finestre concludendo in una perfetta simmetria le facciate coronate da un cornicione in cotto che sosteneva un tetto a padiglione. Tramite il porticato al pianoterra, aperto verso il mare, si accedeva ad una piccola  sala centrale affiancata a sud dall’ambiente che ospitava la scala principale e a nord da una stalla. La scala conduceva all’odierno salotto del primo piano, il più vasto ambiente della dimora, coperto da una volta a padiglione in canniccio più alta di mezzo metro rispetto al soffitto attuale. Sulle pareti del salotto sono dipinte lesene con capitelli corinzi alternate a campiture verdi; tale ambiente era affiancato a sud da un piccolo vano contenente una scala segreta che conduceva ad un sottotetto dove erano ricavate, presumibilmente stanze di servizio, mentre a nord erano presenti due camere. I due corpi laterali ad elle contenevano magazzini, cucine, stalle e nel mezzanino, vi erano gli alloggi del personale.

  Come già detto Carlo Lodovico abbandonò gli intenti monumentali della madre Maria Luisa che voleva inserire il casino di caccia all’interno del vasto progetto di reggia, e infatti nella sua visione il casino doveva essere trasformato in un’ azienda agricola. Con questo intento diede avvio ad una serie di modifiche di tipo strutturale e decorativo.

  La modifica più consistente riguarda la trasformazione delle ali da una forma ad L ad una forma a T e la loro sopraelevazione da uno a due piani. All’ala nord fu aggiunto un edificio a pianta quadrata adibita a magazzino; mentre l’ala sud fu ingrandita con un edificio a pianta rettangolare in cui erano collocate le cucine. Nottolini progettò una copertura per le ali laterali a capriate e inserì motivi decorativi sulle cantonate delle facciate; anche il cornicione del tetto presentava una fascia decorata con festoni in bassorilievo su tutto il perimetro.

  Inoltre furono edificati a partire dal 1844 diciassette cascinali per i contadini della tenuta a cui erano stati assegnati ventotto appezzamenti di terreno da coltivare soprattutto a viti e pioppi. Il cascinale era un fabbricato composto da due stanze al pianterreno e altre due al primo piano, con pavimentazione “a mattoni raddoppiati”, con scala interna e tetto a embrici e tegole. Questo è un tipico esempio di quella che si può definire “architettura neoclassica rurale”. Oggi il numero delle costruzioni all’interno della tenuta è notevolmente aumentato rispetto al numero iniziale, inoltre queste strutture sono state ampliate e strutturalmente modificate.

  Negli anni seguenti si verificano una serie di eventi politici che determineranno le future scelte sul destino della villa. Nel 1847 Carlo Lodovico cedette il Ducato di Lucca a Pietro Leopoldo di Toscana e divenne Duca di Parma. Nel 1849 abdicò in favore del figlio che gli succedette assumendo il nome di Carlo III: in questa occasione, molti beni tra cui la tenuta di Viareggio passarono a Carlo III. Egli nel 1849 fece costruire nell’ala nord dall’architetto Giuseppe Gheri una cappella dedicata a S. Carlo Borromeo che sarà trattata in seguito. Carlo III, intenzionato a trasformare la tenuta in residenza di campagna, diede inizio ad una nuova fase di modifiche durante la quale presumibilmente si fece coadiuvare dall’arch. Nottolini. Nel 1854 tuttavia, Carlo III fu assassinato e i lavori della villa furono seguiti da Maria Teresa madre di  Carlo III. In seguito alla morte del Nottolini (1851) è possibile supporre che ella si sia avvalsa della consulenza di Giuseppe Pardini allievo del Nottolini, la data di inizio dei lavori è collocabile attorno alla metà dell’ ottocento. Lo stato di avanzamento dei lavori è descritto in una stima redatta nel 1855 dall’Ufficio Tecnico Erariale del Granducato di Toscana che così descrive la villa:

Ala nord comprende al pianterreno tre grandi stanze coperte a palco: una, cioè, ad uso di rimessa per carrozze con ingresso a portone dalla parte di settentrione, altra ad uso di selleria con scala di pietra per l’accesso al piano sovrapposto ed altra ad uso di scuderia con ingresso a portone dalla parte di levante. Al primo piano coperto a tetto un lungo andito rende libere dodici stanze, cioè dieci ad uso di camere da servitù e due per usi diversi.

Braccio dell’ala nord Comprende al pianterreno sette stanze coperte a palco tutte con cannicciata. Consistono in una stanza ad uso di saletta con suo ingresso da ponente e nella quale esiste la scala di macigno per l’accesso al piano sopra posto; in due salotti situati dalla parte di mezzodì della seconda stanza d’ingresso; in quattro camere a settentrione di detta stanza. Al primo pano vi sono cinque stanze coperte a tetto, tutte con cannicciata. Consistono in un salotto grande, in un altro detto più piccolo e in tre camere.

 Fabbricato CentraleComprende al pianterreno sette stanze, un grande loggiato coperto de volta a crociera, con tre ingressi a portone sul davanti, ossia dalla parte di ponente. Il loggiato comunica con cinque grandi stanze, coperte a palco, tutte con cannicciata, le quali però non hanno fino ad ora destinazione di uso, ed in un’altra piccola stanza dalla quale si muovono grandiose scale di macigno per l’accesso al piano sopra posto. Al primo piano dieci stanze coperte a palco, tutte con cannicciata, consistono in una sala grande ed in altre nove stanze che presentemente non Hanno destinazione di uso. Al secondo piano coperto a tetto con soffitto, inabitabile, vi sono dieci stanze tutte con cannicciata sono una sala grande e nove stanze parimenti senza destinazione di uso.

Braccio dell’ala sudComprende al pian terreno sette stanze e un piccolo andito, tutte coperte a palco con cannicciata. Consistono in una piccola stanza con ingresso da ponente, dalla quale si muove la scala di macigno per l’accesso al piano sopra posto. Vi sono un’altra stanza grande ad uso di cucina, due stanze ad uso di salotti, altre ad uso di camere, ed una per usi diversi. Al primo piano sei stanze coperte a tetto, tutte con cannicciato, costituiscono una sala, un salotto, tre camere e una stanza per usi diversi.

Ala sudComprende al piano terreno una grandissima stanza coperta a palco ad uso di vinaia con suo libero ingresso a portone dalla parte di ponente. Al primo piano ad una grandissima stanza coperta a tetto ad uso di granaio si accede mediante una scala di pietra che si muove da una piccolissima stanza a pianterreno e che ha il suo libero ingresso dalla parte di settentrione.

SerraConsiste in un lungo stanzone coperto a tetto con dodici ingressi ad archi a guisa di loggiato, il quale serve per ricovero dei prodotti territoriali nel tempo di battitura.”

 Dalla stima risultava che i lavori non erano ancora stati terminati né nel corpo centrale, né nell’ala nord dove mancavano tutte le rifiniture interne.

  E’ riconducibile a questi anni anche la costruzione della serra che imita la forma del loggiato. Il casino fu, in questa fase di modifiche, ingrandito e trasformato in un vero e proprio palazzo. Furono realizzati due corpi a tre piani al lato del fabbricato centrale e quest’ultimo fu rialzato di un piano, ma così ingrandito sarebbe risultato troppo a ridosso delle due ali: fu così inevitabile l’accorpamento dei tre fabbricati tramite l’allungamento dei corpi laterali con la costruzione di due gallerie per le carrozze coperte da volte a botte decorate a lacunari dipinti.

  Il complesso, reso ora un unico edificio venne completato con la realizzazione di una terrazza a coronamento del tetto e con la trasformazione delle tre finestre del primo piano in portefinestre affacciate su un terrazzo al centro della facciata. La nuova facciata si presentava più semplice avendo rinunciato al bugnato ed avendo affidato l’eleganza del prospetto all’alternanza tra pieni e vuoti determinata dalle aperture ricavate nelle grandi superfici intonacate sormontate da un sobrio cornicione in cotto.

  Infine il porticato fu chiuso per creare disimpegni alle sale del piano terra.

  All’interno fu demolita la scala originaria e realizzato un nuovo e più ampio vano scala in pietra al fine di collegare i tre piani nobili dell’edificio, invece l’accesso alla terrazza del tetto fu consentito dal prolungamento della scala di servizio tra primo e secondo piano.

  Per ognuno dei tre piani nobili, fu creato un appartamento dotato di un peculiare apparato decorativo.

  L’appartamento del pianoterra fu arricchito con pavimenti in piastrelle di marmo bianco e grigio a scacchiera e con decorazioni a tempera sul soffitto; al primo piano si trovava un appartamento di rappresentanza che potremmo definire monumentale in quanto si espandeva anche negli ambienti al primo piano delle ali. Tale appartamento, riservato alla duchessa di Madrid Margherita (figlia di Carlo III), non prevedeva grandi stanze tranne il salotto presente già nel casino di caccia, dato il vincolo del primitivo e modesto impianto planimetrico; all’ultimo piano, Maria Teresa (madre di Carlo III) si fece costruire un piccolo appartamento costituito da camera da letto, anticamera, salotto, cappella e alcune stanze di servizio. Per realizzare questo appartamento, fu abbassato il soffitto della sala centrale del palazzo. Tra le decorazioni spiccano le tappezzerie in seta che rivestivano le pareti e gli affreschi a tempera dei soffitti. L’elemento decorativo peculiare di questo appartamento sono i pavimenti a parquetdisegnati probabilmente dall’architetto lucchese Domenico Martini, che lavorò in progetti per le tombe presenti nella cappella della tenuta.

  In seguito alla morte di Carlo III, la figlia Margherita divenne proprietaria della tenuta e fece apportare alcune migliorie: fece scolpire sulle porte il giglio dei Borbone-Parma; inserìceramiche di memoria robbiana nel corridoio a piano terra; arricchì le pareti del primo piano con quadri di battaglie. Risalgono a questo periodo anche i due appartamenti familiari del primo piano ricavati nelle due ali: il primo, posto di fianco alla cappella, è di gusto semplice, ma raffinato; il secondo ricavato nella parte a meridione, è di impostazione più moderna, in quanto si possono notare influenze nordiche e mitteleuropee nella forma delle finestre, nelle stufe in terracotta e in maiolica, nel semplice disegno del parquet ed anche nel linguaggio formale dell’esterno di questo braccio dell’ala sud che si distacca da quello del resto del fabbricato.

  Nel corso delle varie fasi sono state fatte svariate aggiunte: un fabbricato all’ingresso con funzione di sorveglianza, una piccola costruzione per la cantina e il forno e un’altra per gli uffici, l’abitazione del custode e l’abitazione dei tecnici agrimensori, le stalle, le rimesse, i magazzini, la vinaia, il capannone per il ricovero dei carri, il lavatoio, la concimaia, una tettoia ottagonale per la presa d’acqua ed infine una cantina con tini in muratura e cemento; dunque fabbricati relativi alla destinazione dell’azienda agricola.

Analisi dell’impianto di riscaldamento

  La villa era dotata di un impianto di riscaldamento centralizzato costituito da tre caloriferi ad aria calda che si trovavano al piano terra in posizione piuttosto centrale rispetto alle stanze da scaldare. I piccoli ambienti che dovevano accogliere il calorifero erano collegati all’esterno attraverso canali e prese d’aria. Tali caloriferi sono costituiti da grandi stufe, circondate da pareti in muratura, con un’apertura per l’introduzione del combustibile. L’aria, che entra nel calorifero direttamente dall’esterno, viene scaldata per irradiamento e, grazie ad una diminuzione del peso specifico, sale in una camera di distribuzione, da cui si diramano i vari condotti che contengono in alcuni punti piccole retine di lino, cotone o lana utilizzate come filtro. L’aria da scaldare è separata dai gas della combustione in modo assoluto grazie al rivestimento interno della camera di combustione, realizzato in terracotta refrattaria. I canalihanno un andamento verticale per raggiungere i vari piani dell’edificio e si distribuiscono orizzontalmente su ognuno di essi mantenendo una leggera pendenza. Ogni stanza è dotata di almeno una presa d’aria, che viene aperta a circa dieci centimetri di altezza dal pavimento; queste aperture, di forma quadrata o circolare, sono rifinite in ottone.

  L’istallazione dell’impianto di riscaldamento nella villa risale presumibilmente agli anni tra il 1850 e il 1860, quindi, in un secondo momento rispetto alla prima fase di costruzione della villa.

  Sistemi di riscaldamento analoghi a quelli della tenuta Borbone di Viareggio, sono stati costruiti in altri palazzi e ville nobiliari: possiamo ricordare la Villa degli Orsucci, famiglia molto vicina ai Borbone, e la villa “Le Pianore” fatta costruire da Roberto I di Borbone.

  Nel 1880 i quattro figli di Carlo III incaricano l’ingegnere architetto Castruccio Paoli di effettuare una stima dei beni posseduti nella provincia di Lucca. Il Paoli descrive in modo molto dettagliato tutte le loro proprietà tra cui la tenuta di Viareggio della quale sono trattati anche gli interni e gli arredi, inclusi i caloriferi: in una nota che li riguarda si legge << sistema Duvoir >>, quindi essa risulta di particolare importanza in quanto permette di supporre che questo tipo di impianti sia frutto dell’ingegneria francese.

La cappellina: mausoleo dei Borbone  

Borbo2

Il primo progetto di una chiesa a fianco della villa è del 1849, e fu commissionato all’architetto Giuseppe Gheri da Carlo III, il cui intento era quello di permettere ai coloni di assistere alla messa in un luogo sacro direttamente all’interno della tenuta. Il Duca  volle che l’edificio fosse dedicato a S. Carlo Borromeo e ne affidò la cura ai Padri Francescani di Viareggio.

  Carlo III aveva disposto che la cappella rimanesse indivisa tra i suoi quattro figli, i quali, in accordo col nonno Carlo Ludovico, commissionarono, tra il 1881 e il 1883, la trasformazione della cappella in chiesa mausoleo, al fine di dare una sepoltura più monumentale al loro padre, creando così per lui una sorta di cattedrale, seppur di modeste dimensioni. Il Pardini ideò una facciata celebrativa e solenne che richiamava le forme neocinquecentesche e l’architettura delpantheon; ma Carlo Ludovico non approvò questa proposta e suggerì all’architetto di trovare un’altra soluzione che riprendesse le fogge lombarde neoquattrocentesche, che al tempo erano particolarmente in voga. Il Pardini decise quindi di ispirarsi alla tradizione del romanico pisano-lucchese, che ben conosceva, in quanto in essa convivevano elementi dell’architettura lombarda. Egli propose due varianti per la nuova facciata: la prima, in stile romanico più severo, aveva un semplice paramento in marmo, il cui unico elemento di dinamicità era costituito dai cantonali in leggero rilievo e dalle arcatelle del sottogronda; la seconda, maggiormente aderente alla cultura neogotica, presentava un apparato decorativo più accentuato. Il Duca preferì alla prima proposta, troppo sobria, la seconda, in quanto dotata di una maggiore fastosità, nonostante le ridotte dimensioni dell’edificio.

  In questa soluzione, che è quella oggi visibile, la facciata si presenta rivestita da marmo bianco su cui cinque fasce di marmo verde determinano una raffinata policromia. Paraste in marmo rosa, applicate nella fascia più bassa, sorreggono archi appena accennati, determinando un’articolazione in tre parti che preannuncia la scansione interna in tre navate. L’arco centrale ospita la porta di ingresso e, nella parte alta, un mosaico di scuola veneziana a sfondo dorato con al centro la figura della Madonna col Bambino. Gli archi laterali continuano linearmente la decorazione bianca e verde e, nell’area cieca, sono forate da due monofore. Lecolonne che affiancano il portale sono in marmo rosa come l’arco soprastante e vengono distanziate dalle paraste di ugual colore tramite profili di marmo bianco. In asse con la porta d’ingresso, nella parte alta del prospetto, è introdotta una bifora a sesto acuto con piedritto a colonnina di marmo rosa sormontato da un traforo a quadrifoglio. Tale bifora, che prende il posto dell’usuale rosone centrale, costituisce un chiaro riferimento alla chiesa di Santa Giulia a Lucca, la cui facciata richiamava, in dimensioni ridotte, quella della chiesa dei SS. Giovanni e Reparata, esempio significativo dell’influenza dell’architettura lombarda a Lucca nel XII secolo.

  I prospetti laterali presentano una decorazione a finti mattoni in intonaco, soluzione proposta in molti edifici Viareggini di quell’epoca, tra cui Villa Paolina, la cui facciata venne rifatta con un’analoga finitura in quegli stessi anni. Sugli stessi prospetti si aprono monofore uguali per forma e dimensione a quelle della facciata e sono sormontate da oculi che illuminano l’interno in modo particolarmente suggestivo. Nel sottogronda è riprodotto un ricamo marmoreo diarchetti pensili che corre anche lungo i muri laterali. Il vertice della facciata sorregge una croce di marmo posta su un piedistallo. Sul tetto a capanna si trova una torretta campanaria, collegata alla sagrestia sottostante. I portali, sia quello a due ante della facciata che quelli ad un’anta sui lati destro e sinistro, sono disegnati a quadrettoni incrociati con perimetro sfalsato che sono racchiusi in un’intelaiatura chiodata, i cui elementi in metallo hanno la testa a forma piramidale quadrata.

  Nelle pareti interne e nella zona absidale si ripresenta la bicromia della facciata. La copertura delle tre navate è risolta con volte a crociera sottolineate dalle nervature dipinte e dalle decorazioni ad affresco di un cielo stellato su fondo blu, che mettono in risalto gli spicchi triangolari: elementi questi che denotano un gusto neoquattrocentesco.

  Il recupero di forme neomedievali all’esterno e neoquattrocentesche all’interno è sottolineato dall’apparato decorativo nel quale sono armoniosamente affiancati il coronamento ad archetti pensili del sottogronda e i capitelli corinzi delle navate, il paramento bicromo e i marmi colorati delle specchiature interne, le lunette a mosaico con sfondo dorato e gli affreschi delle volte, gli arredi lapidei e i portali in legno finemente intagliati.

  Riguardo questa convivenza di stili nella cappella borbonica, Gabriele Morolli scrive:

“E che la fronte neomedievale mascherasse un interno neoquattrocentesco non deve essere letto, superficialmente come un disinvolto (o “cinico”) “melange” stilistico del più disinibito Eclettismo, ma come un puntuale riferimento a quella corrente ideologico architettonica, e più generalmente storico artistica… che aveva individuato nell’arte italiana “del Trecento e del Quattrocento”… nei suoi “sapienti innesti” tra il Gotico più elegante e razionale e l’Umanesimo più raffinato e antiquario, un campo di indagine, un serbatoio poetico di straordinario spessore”.

  Il motivo a colori alternati degli archi laterali sulla facciata è ripetuto anche all’interno, in modo da conferire leggerezza alle navate laterali e una maggiore solennità alla navata centrale. Al centro dell’abside si trova un altare composto da una mensa con tabernacolo di marmo sorretta da due stipiti tra i quali è posizionata una pala di marmo colorato. L’altare è sormontato da una lunetta e da un tempietto composto da due paraste riccamente decorate. Imarmi di cui sono composti questi elementi sono il marmo di Carrara e il rosso di Collemandina in Garfagnana.

Lo spazio centrale è definito da quattro colonne con capitelli corinzi che si ripetono anche sui pilastri che scandiscono le pareti, sulle quali campeggiano le lapidi dei monumenti funebri.

Nella navata destra  è situata la tomba di Carlo III, opera di Vincenzo Consani, il quale optò per la forma a sarcofago etrusco-romano con sopra la figura supina del defunto. Nella lunettache sovrasta il dossale tripartito è rappresentata al centro la madonna ed il bambino, con a fianco due personaggi maschili, uno dei quali, forse lo stesso Carlo, stringe al petto una corona di spine, allegoria della sofferenza di casa Borbone.

A sinistra si trova il semplice sarcofago di Carlo Ludovico sul quale è appoggiata una corona adagiata su un cuscino. Sul dossale tripartito, con fondo in marmo rosso, campeggia un bassorilievo raffigurante al centro la Madonna col Bambino e ai lati i committenti del sepolcro (duchessa Margherita e il marito Don Carlos, pretendente al trono di Spagna).

  Sempre nella navata sinistra, poste a parete, a fianco dell’abside si trovano le “pietre tombali” di Maria Luisa e della nipote. Esse sono costituite da un portale di marmo con interessanti sculture in bassorilievo. Le due lapidi, affiancate, sono poste al centro di un portale a tre lesene sormontate da capitelli in stile composito. L’architrave sorregge due mezzelunespeculari che contengono al centro una croce greca attorniata da un motivo ornamentale stellato. Sopra le due cornici si eleva al centro lo stemma borbonico.

  Nella parete centrale della cripta, situata in un ambiente che affianca l’abside, sono presenti i sarcofagi di Roberto I Duca di Parma e della seconda moglie Maria Antonia di Braganza e altri loculi a muro posti su diversi piani lungo tre pareti.

  Oltre agli ambienti della chiesa e della cripta, si hanno una sagrestia e, al primo piano l’alloggio del sacerdote, che tramite una porta a scomparsa era collegato all’appartamento del primo piano dell’ala nord.

Il giardino della villa

  Il primo progetto di Nottolini prevedeva un giardino incredibilmente vasto dotato di un “cannocchiale arboreo”, l’attuale Viale dei tigli, esteso fino al canale Burlamacca. Nella soluzione realizzata venne mantenuto l’asse del viale ma si ridusse notevolmente l’area verde che si delineò come un classico giardino all’italiana, con aiuole geometriche. Sul lato principale della villa, di fronte alla cappella, e delimitato dal corpo di fabbrica della limonaia, si trovava il piccolo giardino dei fiori, dalle forme geometriche, con fontana centrale. Una corona di statue, segnava il limite tra il giardino geometrico ed il resto del parco dominato da una natura prevalentemente incontrollata.

  Le statue appena ricordate rappresentanti i santi Enrico e Alice, furono inserite da Maria Luisa in quanto avevano gli stessi nomi dei suoi figli.

  La viabilità interna era di due tipi: quella destinata al traffico pesante, che presentava una massicciata ricoperta da ghiaia di fiume, della quale facevano parte il viale centrale e i piazzalisul fronte e sul retro; e quella costituita dai vialetti interni e dai sentieri, simmetrici e sinuosi nel giardino, tortuosi e con aspetto più selvatico nel parco, anch’essi ricoperti da ghiaia e delimitati da un cordolo in tufo.

  Le piante utilizzate sono soprattutto magnolie, tigli, palme e lecci. Ci sono anche boschetti di alloro, siepi di bosso, vegetazione spontanea data soprattutto dalla presenza di edera e robinia.

  La presenza di piante esotiche, di boschetti, di prati, di specchi d’acqua e di numerose statue, fa pensare non più a un giardino all’italiana, come quello ideato dal Nottolini, bensì ad un giardino all’inglese, in cui la natura è sì curata e ordinata, ma in modo da creare un ambiente di tipo “pittorico”, in cui i diversi elementi sono disposte come quinte di un palcoscenico, attraverso le quali la passeggiata si apre all’improvviso rivelando panorami suggestivi e inattesi.

La decorazione degli interni

  La villa mantenne nel tempo il carattere di un tranquillo rifugio più che quello di una reggia mondana, data la sua originaria destinazione a casino di caccia. Non erano infatti presenti saloni da ballo, o luoghi per grandi ricevimenti, ma piuttosto ambienti di piccole dimensioni comunicanti tramite un’infilata di porte. Anche le decorazioni quindi, si adattavano allemodeste dimensioni e alla funzione di ospitalità di tali ambienti: non si trovavano perciò grandi pareti affrescate, ma tappezzerie elaborate, stucchi, quadri, elementi di arredo di vario tipo,maioliche di memoria robbiana e pavimenti ad intarsio ligneo di raffinata fattura, ispirati a quelli delle stanze delle Madeiras Finas nel Palacio de El Escorial. Degno di nota è anche il caminoin marmo della sala centrale al primo piano, decorato con uno scudo centrale su cui compare la lettera M iniziale di Margherita.

  La decorazione pittorica delle pareti, trova assai poco spazio all’interno della villa, fatta eccezione per alcuni casi di decorazione illusionistica a colonne e per la presenza di tendaggi fittizi. La decorazione ad affresco è inoltre utilizzata, ma sempre molto limitatamente, suisoffitti delle diverse stanze sotto forma di rosoni e stemmi. Si possono individuare però, due diversi tipi di disegni. Al piano terra sono rappresentati soprattutto esili grottesche e sottili racemi fitomorfi che si intrecciano simmetricamente attorno ad uno o più assi, creando forme stellari  ed appuntite, sia al centro del soffitto che lungo fasce perimetrali. Questo tipo di grottesca, lontano dalla ricerca di particolari simbolismi, era entrato a far parte, con la suaarmoniosità, di quel linguaggio figurativo utilizzato ovunque a fine Ottocento. La vivacità cromatica e le decorazioni filiformi del piano terra vengono sostituite al piano nobile, da soluzioni monocromatiche che utilizzavano soprattutto i colori dominanti della tradizione borbonica (azzuro, giallo-ocra) e di quella sabauda (rosso). Ad elementi fitomorfici vengono affiancati in questo ambito da animali fantastici, sempre di profilo, inserti sotto tripodi ricolmi di fiori e sottolineati da effetti chiaroscurali e illusionistici. Questa particolare interpretazione delle grottesche, insieme all’insistita presenza di rosoni centrali, si avvicina in diversi aspetti ai motivi decorativi presenti in Villa Pistoresi “Le terrazze” (Piano di Mommio) di proprietà degli Orsucci: questo perché, dato il legame tra le due famiglie committenti, lo stesso ignoto artista lavorò per entrambe.

  È inconfutabile, nella tenuta Borbone, l’esigenza di celebrare la dinastia e di affermare l’appartenenza ad essa: infatti i gigli dello stemma dei Borbone sono dipinti su molti dei soffitti, ripetuti lungo le cornici e scolpiti su tutte le porte, sia nelle sale di rappresentanza, che negli ambienti privati.

Il destino della villa nel ‘900

  1893 – la proprietà della villa passò a Bianca, figlia primogenita di Margherita e Carlo VII, e Infanta di Spagna;

  1917 – la tenuta fu confiscata dal governo come bene asburgico e occupata, ad esclusione della cappella, dalla Marina Militare di La Spezia, i Borbone trasferirono preventivamente i mobili e le opere d’arte contenute nella villa;

  1940/45 – la villa subì espoliazioni prima da parte dei tedeschi e poi da parte degli americani;

  1945 – Donna Bianca tornò ad abitare nella tenuta e ridette al palazzo un aspetto nuovamente decoroso, riarredandolo in modo consono ad una residenza nobiliare, ma più sobriamente rispetto al passato;

  1949 – Margherita, figlia terzogenita di Donna Bianca andò ad abitare nella villa;

  1985 – la villa è stata ceduta all’Ing. Benvenuto Barsanti, che nello stesso anno la dona al comune di Viareggio per adibirla a luogo destinato alla cultura e per renderla visitabile da tutti i cittadini;

  1999 – il comune di Viareggio ha iniziato, in collaborazione con la Soprintendenza di Pisa, il programma di recupero e riutilizzazione della villa per riportarla al suo originario splendore;

  oggi – il palazzo e l’area nord sono stati restaurati ma il giardino si trova ancora in condizioni disastrose, e la villa è tutt’altro che accessibile al pubblico.

LE VILLE DELL’ENTROTERRA

VILLA BORBONE alle Pianore

  La villa Borbone alle Pianore si trova nella fascia pedecollinare di Capezzano Pianore, piccolo paese del comune di Camaiore posto lungo la via Sarzanese.

  La fondazione dell’antica casa padronale è da attribuire presumibilmente alla famiglia nobile degli Orsucci, a cui per molti secoli è appartenuta la villa.

  Il luogo in cui la villa sorge è ricco di risorse idriche che un tempo alimentavano sia il frantoio, posto nelle vicinanze della casa, sia tutte le fontane e le vasche del parco tramite una serie di condutture.

  Gli Orsucci detennero la proprietà della villa sino agli inizi del XIX secolo, quando il Governo lucchese confiscò l’ingente patrimonio della famiglia a causa del fallimento del conte Carlo Orsucci. Decise allora di acquistare la villa Maria Teresa di Savoia, dato che suo marito Carlo Ludovico di Borbone si era interessato molto alla zona di Capezzano tra il 1824 e il 1847.

  I Borbone intervennero nella zona di Capezzano commissionando innanzitutto la realizzazione di una nuova strada che conducesse in modo agevole dalla strada per Massa alla villa.

  La villa risulta costituita da tre corpi di fabbrica: la casa padronale, l’edificio degli Uffizi e un corpo intermedio di collegamento tra i due. L’ingresso della villa, posto al termine di un viale alberato rettilineo, è situato lungo l’antica via Francigena, ed è costituito da un grande cancello in ferro ai cui lati si trovano pilastri in pietra e laterizio sormontati dallo stemma borbonico.

  Nel 1885 fu assegnato l’intero patrimonio della tenuta a Roberto di Borbone, Duca di Parma. Nel 1888 egli commissionò all’architetto Domenico Martini la progettazione del grandioso palazzo vicino all’antica casa padronale. Nel 1952 la Congregazione  dei Padri Cavanis, nuova proprietaria del complesso vi aprì il liceo scientifico “Marianum Cavanis”. Oggi la villa comprende tre fabbricati: la casa padronale, il palazzo del Duca Roberto, che ospita un’università privata, e la sede del liceo.

Il giardino

  L’ampio parco che circonda la villa fu molto curato nel periodo in cui i Borbone vi abitarono. Nel giardino furono introdotte nuove specie esotiche tra cui platani e magnolie seguendo quella tendenza introdotta da Paolina Bonaparte che prevedeva il mutamento da giardino all’italiana a giardino all’inglese. A fine Ottocento si assistette ad un’ulteriore evoluzione del giardino, in cui vennero inserite numerose palme come conseguenza della diffusa tendenza di ricerca dell’esotico. Il parco è segnato da una serie di sentieri sinuosi nei quali è possibile, ancora oggi, vedere le tracce dell’antica pavimentazione ad acciottolato. Scoli laterali per l’acqua costeggiano l’ampio spazio centrale a prato e le grandi masse di alberi in cui si trovano aceri, magnolie, tigli e lecci. Sono visibili, nella parte antistante la villa, alcune aiuole bordate di Buxus sempervirens in forme circolari, che lasciano intuire la passata presenza del giardino della villa di Maria Teresa.

  Si riscontra quindi una grande varietà di specie, soprattutto esotiche, più o meno rare, che denota un armonico legame con il gusto ottocentesco. Possiamo notare anche il gusto per il collezionismo, reso evidente dalla presenza di sette tipi di querce e otto tipi di aceri.

  Nella predominanza delle latifoglie riunite in gruppi è visibile la ricerca di volumi più ampi, forme più libere e colori d’effetto. La scelta di raggruppare le specie dello stesso genere in settori, caratteristica peculiare degli orti botanici o degli arborei, prevale, riflettendo come già detto il gusto ottocentesco, sulla ricerca di armonizzare il giardino con il paesaggio circostante tramite una natura spontanea.

VILLA “IL ROMITO” a Stiava

  La villa fu costruita presumibilmente a cavallo tra XV e XVI secolo dalla famiglia Buonvisi; notizia certa è che  la sua proprietà passò, nel 1725, alla  famiglia Mansi e nel XVIII secolo ai Borbone. Essendo questa la prima villa gentilizia edificata nella piana di Massarosa, presentava caratteristiche oramai troppo arcaiche, sia per l’ampiezza degli ambienti che per eleganza, rispetto ai cliché dell’ architettura settecentesca: è per questo che, all’incirca nel XIX secolo, essa fu abbandonata al degrado dai Borboni, che fecero costruire una nuova residenza, sempre nella conca di Stiava, più vicina allo stile dell’epoca. Non si conosce però l’anno preciso in cui la villa fu abbandonata, tuttavia, da un stralcio di un testamento dell’epoca dei Borbone Parma, si deduce che la funzione di casa signorile de “Il Romito” cessò verso la fine del XVIII , in quanto nell’atto notarile ci si riferisce ad essa come rustico.

  L’edificio presenta le tipiche caratteristiche dell’architettura residenziale cinquecentesca, quali la suddivisione dell’alzato in tre ordini, il tetto a capanna, la scalinata d’ingresso a doppia rampa e le cornici di finestre e porte in pietra. Nella parte centrale del prospetto principale si apre, al di sotto del pianerottolo della scala, un arco a sesto ribassato che immette direttamente negli scantinati e negli ambienti di servizio. In asse con questa apertura  si trova la porta  d’ingresso, anch’essa ad arco ribassato. La disposizione delle aperture in facciata è simmetrica rispetto a detto asse, al contrario  di quella delle finestre sui prospetti laterali, che risultano dislocate in modo totalmente asimmetrico: è questo uno chiaro segno dell’antichitàdella villa. Davanti alla villa è presente un piccolo giardino delimitato da un muro perimetrale, in cui, in passato, spiccava un’ elegante fontana adornata di stalattiti e stalagmiti. Tutt’intorno a questa chiusa si spandeva il resto del parco, adibito a giardino e ad orto. Annessa alla villa vi era anche una chiesina gentilizia.

  Quel che resta oggi della villa è solo un rudere invaso dalla vegetazione che a mala pena ricorda l’antico splendore proprio di questa nobile residenza.

Villa Toscano a Stiava

 Fu costruita nel 1648 per committenza della Famiglia Buonvisi (ricchi commercianti lucchesi), in una zona suggestiva, in quanto ai piedi delle colline e con una pregevole vista panoramica. Nel primo decennio del Settecento, per mano di Maria Margherita Buonvisi si attuarono degli importanti restauri che riguardavano: il rinnovo della cappellina adiacente al palazzo sul lato sud e sicuramente un ampliamento della residenza sia in pianta che in alzato, ipotizzabile dal fatto che, nella zona della lucchesia, i palazzi secenteschi non avevano le dimensioni che questo edificio attualmente presenta (dopo questo restauro non se ne ricordano di importanti). Nel 1824 la villa venne acquista da Carlo Lodovico di Borbone e rimase in possesso della famiglia fino al 1923 anno in cui fu venduta ai Toscano (attuali proprietari). In una zona ricca dal punto di vista idrografico, si erge il palazzo su un ampia terrazza sorretta da un muro di sostegno; l’edificio si presenta come un parallelepipedo a base rettangolare che si eleva su tre ordini (compreso il piano seminterrato), più un sottotetto. Le facciate sono intonacate chiare; in quella principale (volta ad ovest) troviamo al pianoterra tre porte (accessibili tramite una doppia rampa di strette scale, costituite da sette alzate) che si alternano a coppie di finestre quadrate, al secondo e terzo ordine, separati da due sottili cornicioni si hanno otto finestre incorniciate e trabeate, mentre il sottotetto è illuminato da piccole aperture quadrate; la facciata risulta così scandita con finestre, sì in asse, ma con diverse distanze tra loro. Le altre facciate sono di minor pregio artistico, ma vige comunque l’assialità delle finestre. Al corpo principale a forma di parallelepipedo, aggiunsero con i lavori del 1702 l’ala sud, che si allunga con un corpo di fabbrica più basso di un ordine e con l’adiacente cappellina.

  Quest’ ala è attraversata da una scalinata coperta da una volta a botte che conduce ad un piccolo giardinetto e ad una terrazza sul retro della villa.

La cappellina gentilizia dedicata a S.Anna, in facciata mostra uno spesso e sobrio cornicione su cui posa un timpano triangolare, all’interno le pareti sono rivestite di piccole lastre marmoree.

  Alla villa si accede tramite un imponente cancello, affiancato da due pilastri bugnati, su cui posano due cani; queste statue ricordano la passione per la caccia della famiglia.

  La parte più importante del giardino, si estende davanti alla facciata principale su due livelli: quello adiacente alla parete della villa adibito più che altro a terrazza e pavimentato con ghiaia; il livello inferiore, accessibile con una scalinata, è invece organizzato con aiuole di forme geometriche segnate da blocchi in tufo, che ospitano nella zona sud cespugli e palmette, mentre nella parte nord è adibito a boschetto di piante esotiche sempre comunque racchiuso in spazi geometrici. Sul retro della villa, si trova un giardino di agrumi con piante di limone ed arancio, un muro di sostegno inoltre è adornato da numerose piante esotiche.

  Tra gli elementi di arredo del giardino, si può annoverare un pozzo realizzato dall’architetto Nottolini in stile neoclassico, a pianta ottagonale con rosoni a bassorilievo sui lati; inoltre vi sono due nicchie sul muro di contenimento, decorate a grotta con stalattiti, le quali ospitano una fontana (una delle due nicchie è andata distrutta).

  Possiamo dire infine di questa villa, che il suo interno è suddiviso da piccole salette conaperture in infilata.

Villa Pistoresi “Le Terrazze” a Piano di Mommio

  La villa è posta in collina tra Mommio Castello e Piano di Mommio, su un’ altura che costituisce una sorta di balcone naturale affacciato sul mare: da qui il nome “Le Terrazze”.

Terrazze la chiamaron gli antenati / e giustamente, par, chè sopra il piano / come un balcon protende le sue braccia / e guarda il mar, dal colle non lontano

  L’ edificio fu fatto costruire nel 1717 dalla Famiglia Orsucci di Lucca che lo adibì a casino di caccia. In seguito gli stessi Orsucci lo fecero ristrutturare  e vi aggiunsero due avancorpi al fine di trasformare il casino in villa per  farne la loro residenza. La proprietà passò poi nel XIX secolo ai Borbone-Parma e ai Pozzo di Borgo, e infine ai Ghivizzani nel Novecento. Oggi la villa appartiene alla famiglia Pistoresi.

  Il complesso ha la forma di un parallelepipedo irregolare costituito da un corpo centrale e due avancorpi simmetrici laterali, di cui quello a ovest ospita una cappella sul cui ingresso si nota un mosaico a mezzaluna: caratteristica questa che l’edificio ha in comune con la villa di Viareggio. La facciata è particolarmente sobria e simmetrica; la parte centrale sporge in altezza rispetto al resto del corpo fabbrica, in quanto lì si trova una torretta a pianta rettangolare con tetto a due falde e timpano triangolare, in cui è inserito un orologio in bronzo ed ottone che muove la campana posta alla sommità del timpano. Il prospetto della torretta è diviso da un cornicione in due fascie, di cui quella superiore è articolata da due finestre ad arco a tutto sesto, mentre quella inferiore, di minor spessore, è caratterizzata da due finestre semicircolari, dette termali. La torretta, detta anche belvedere o colombaia, è collegata armonicamente alla parte sottostante per mezzo di volute accennate sul lato della facciata principale, che da sul panorama e che risulta scandita ritmicamente da lesene a bugnato liscio. I due prospetti principali sono articolati in tre ordini, determinati da una doppia fascia marcapiano, ma presentano aperture di diversa forma: la facciata che da sul paesaggio circostante ha finestre tutte di forma rettangolare, mentre la facciata retrostante è caratterizzata da finestre rettangolari, di cui alcune incorniciate da un arco a tutto sesto al primo ordine, da finestre rettangolari al secondo ordine e finestre termali al terzo ordine. Sull’asse di simmetria della villa si trovano il portone in marmo bianco a piano terra e un balcone con ringhiera in ferro battuto al primo piano.

  L’interno della villa si articola in numerosissime stanze quasi interamente decorate, che si sviluppano simmetricamente rispetto alla scala interna in stile rococò, posta in posizione centrale.

  Davanti alla villa è presente un ampio parco che si sviluppa su quattro grandi terrazze, sul retro invece si ha una corte di facile accesso collegata alla strada. I diversi livelli sono collegati tra loro da semplici gradini di cotto o di pietra grigia, o da scale a rampe decorate conforme geometriche, come rombi, triangoli e semicerchi, spesso riempite a mosaico rustico. La vegetazione presente nel giardino è costituita da olivi secolari, pini e da una fila di cipressi che borda la villa a occidente.

Villa Secci alla Vallina

  Il complesso di villa Secci comprende tre corpi di fabbrica: nella parte a monte è localizzato il palazzo vero e proprio, articolato su tre ordini; al centro si trova una torre costituita da un corpo a parallelepipedo che si eleva su due ordini, ricoperto da un tetto a padiglione; a valle è presente una tettoia continua a due spioventi collegata ad un muro di cinta, che si sviluppa attorno alla torre, delimitato a monte dal palazzo e a valle dalla tettoia stessa.

   A partire dal livello su cui sorgono la fattoria e la chiesa annessi alla villa, risulta evidente l’estrema articolazione del complesso, in cui si sovrappongono repertori storico-artistici lontani tra loro, ossia stilemi medioevali e rinascimentali nel palazzo ed elementi gotici nella chiesa ( fregi ad arcatelle nel sottogronda e guglie sul cornicione). Elemento che caratterizza in questo senso la torre è l’inconsueta facciata che da sulla valle, essa infatti è suddivisa, da un’alta cornice marcapiano con modanature, in due fasce: quella inferiore, priva di particolari elementi architettonici e decorativi; quella superiore, scandita da tre aperture ad arco ogivale di memoria gotica.

  Nonostante questa compresenza di stili architettonici differenti, si ha la sensazione di una sostanziale omogeneità grazie alla modulata distribuzione del tessuto arboreo adagiato sulla collina, plasmata da percorsi erbosi, campi e boschi. A valle si trova una folta impenetrabile piantagione di cipressi, cedri e aceri che corrono lungo un muro di cinta, da cui si diramano una serie di viali bordati da siepi di bosso, di lauroceraso e di pitosforo, i quali conducono alla villa e immettono nel parco tramite vie sinuose. In prossimità dell’accesso alla fattoria sono visibili tracce di un ponticello in laterizio che, insieme al profilo cavo del terreno, lasciano intuire l’esistenza, in passato, di un laghetto che donava al parco una nota pittoresca. Un bosco di palme di varie specie nasconde la facciata della chiesa neogotica caratterizzata da un pronao che risente di influssi bizantini: è questo uno degli spaccati del complesso più pittoreschi. Tuttavia tradizione locale ed esotismo convivono armonicamente nel viale che circoscrive la chiesa, in cui si ha un’inconsueta presenza di cipressi e palme, immersi in una densa vegetazione di felci e pitosfori. L’aspetto difensivo della torre è ingentilito da un glicine rampicante, mentre una variopinta orchestrazione di fiori si estende sulla distesa erbosa che fronteggia il prospetto a monte del palazzo, monumentalizzato da una scalinata a doppia rampa curvilinea nascosta da rampicanti che invadono tutta la facciata, escluso l’ultimo ordine.

  Si evince quindi che caratteristica fondamentale della villa di Vallina è l’integrazione con il paesaggio che si attua attraverso la fusione, di discendenza romantica, tra la natura interpretata in chiave spirituale ed elementi pittoreschi.

Villa Conca di Sopra a Bargecchia

    Il luogo in cui sorge questa villa è molto favorevole sia per attività lavorative che per momenti di svago e riposo, questo grazie alla sua posizione, che offre un’ottima esposizione solare, un clima mite ed un paesaggio suggestivo che va dal golfo di Genova alle isole dell’arcipelago toscano. Essa fu fatta costruire nel XV sec. dalla famiglia Dal Portico, membri della Repubblica di Lucca. Nel 1776 il vecchio palazzo non soddisfaceva più i gusti di Maria Dal Portico e suo marito Alessandro Castracani, venne dunque ristrutturata completamente trasformandola in un nuovo palazzo molto più ampio e corredandola di una cappella dedicata a S.Maria Assunta (a testimoniere ciò, è presente nella cappella una lastra marmorea). Nel 1826, la villa venne acquistata da Maria Teresa Ludovica Pia di Savoia, moglie di Carlo Lodovico di Borbone; la nobile famiglia vi rimase fino alla fine del secolo, poi vendette la villa agli Iacomelli, durante il secolo scorso fu di proprietà della famiglia Fantozzi, mentre da circa quindici anni è di Luciano Gobbi Benelli e sua moglie Maria Carmen che la stanno restaurando per usi privati.

  In alcuni documenti borbonici si legge che la villa era contornata da circa 99 ettari di terreno destinati a colture, e fabbricati adibiti al lavoro e alla residenza dei coloni.

  I Borbone, ed in particolare l’imperatrice Zita e Roberto figlio di Carlo III, trascorrevano vari periodi dell’anno in questa villa; Carlo Lodovico in occasione delle nozze del figlio Carlo III con Luisa Maria di Berry, assegnò al pittore lucchese Bianchi (conosciuto anche come “il diavoletto”), il compito di affrescare una sala della villa in modo da farla sembrare un capanno di caccia della tipologia che si trova nel padule. Ciò è a testimonianza della passione della famiglia per questa attività ludica.

Un piccolo vestibolo con copertura a capanna, introduce nella sala in questione; all’ ingresso le immagini dipinte acquistano la potenza espressiva della realtà, si ha veramente la sensazione di trovarci all’ interno di un capanno: sulle pareti sono simulati infatti rivestimenticon assi di legno, oggettistica di tipo rustico è dipinta nel dettaglio e con una particolare cura nell’assegnarle tridimensionalità e quindi giochi d’ombra. Suggestiva è soprattutto la simulazione di una finestra, dove il pittore dipinge un fascio di luce che sembra entrare nella stanza dall’esterno e  proiettare quindi l’ombra della grata della finestra sull’imposta semiaperta, anch’essa dipinta. Anche il soffitto di questa sala, per rendere l’ambiente omogeneo, è dipinto in modo da simulare attrezzi di caccia e pesca sistemati sulle mensole di un doppio soffitto. Altri elementi della sala sono invece necessariamente reali, come il tavolo con le sedie ed il caminetto, tuttavia sono perfettamente integrati con l’ambiente che li circonda.

  All’interno della villa che presenta una suddivisione delle stanze alquanto irregolare, non mancano comunque le stanze sfarzose destinate ai ricevimenti come la “sala azzurra” ed altre salette, tutte comunque di piccole dimensioni.

  La villa si eleva su tre ordini (compreso il piano seminterrato); la facciata principale è quella che guarda verso mezzogiorno: l’ accesso al primo piano avviene tramite una doppia rampa di scale che conduce ad un pianerottolo, il tutto incoronato da un’elegante balaustra, al primo ordine si hanno quattro portefinestre, al secondo invece quattro finestre in asse con le aperture dell’ordine inferiore; sul tetto si erge una torretta belvedere con copertura a capanna, elemento molto usato nel XVIII secolo. Il fianco sud-est si presenta invece molto articolato, sia per la complessità dei giochi di volume che per le diverse altezze delle finestre. La facciata a nord, frutto della già citata ristrutturazione del 1776, si presenta molto asimmetrica nella distribuzione delle finestre, tanto da poterla analizzare in due parti distinte di cui quella sulla sinistra risulta articolata irregolarmente da due porte ed una finestra al pianoterra, da tre finestre al primo e da un’altra piccola finestrina, c’erano inoltre cinque occhi di bue (tre disposti orizzontalmente e due verticalmente). Oggi, con gli ultimi lavori di restauro, sono stati tamponati la finestrina e i tre occhi di bue orizzontali e ne è stato aperto uno allineato con quelli verticali.

 La parte destra di questa facciata presenta invece una doppia rampa di scale con balaustra in marmo bianco che conduce ad un pianerottolo il quale si apre davanti ad una portafinestra con arco a tutto sesto; sotto le scale, un passaggio con volta a botte a sesto ribassato, ospita una porta d’ingresso della villa. All’asimmetria di questa zona si cercò di rimediare, anche se con scarso successo, dipingendo due finestre che oggi non appaiono più. Il portone al centro della facciata, è di forma quadrata, ma di moderna costruzione. Sul tetto è posto un piccolo porta-campana con tettuccio a capanna. La parete ovest mostra al pianterreno quattro finestrelle, i due ordini superiori sono invece scanditi da finestre regolari, tuttavia tra queste, due sono dipinte al fine di creare una simmetria.

  I giardini che contornano la villa sono diversi per tipologia: la parte che si estende di fronte al lato nord mostra un assetto all’inglese ed è definito “giardino d’inverno”; di fronte invece alla facciata principale è presente un semplice e modesto giardino detto “giardino d’estate” affiancato dall’ “orto dei frutti” dove si coltivavano prevalentemente agrumi.

  Oggi del giardino originario della villa resta ben poco, a causa degli ultimi restauri (ancora in atto).

  Tra gli edifici annessi alla villa si deve ricordare la cappellina settecentesca di semplice fattezza,con tetto a capanna e con un’elegante finestrella centrale di forma ellittica; gli altri edifici nella tenuta, erano le case dei coloni che portavano sulla facciata lo stemma con tre gigli su fondo azzurro, simbolo nobiliare dei Borbone.

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