memorie scritte da Lea Bicicchi

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Quella che sto per raccontare non è una novella, ma una storia realmente accaduta; sono gli anni, quelli , che dovevano essere i migliori della mia vita, perchè quello che sto per dirvi iniziò proprio quando ne avevo soltanto diciotto, cioè all’inizio della Seconda Guerra Mondiale.

I primi due anni passarono abbastanza bene, all’infuori che avevamo poco da mangiare, perchè era tutto tesserato, ma bombe e cannonate non sapevamo ancora che cosa fossero. Ma purtroppo, col passare del tempo tutto ciò precipitò e anche noi ci trovammo di fronte a ciò che significava realmente la guerra.

Una sera eravamo a cena e all’improvviso suonò l’allarme. Come al solito pensavamo che non sarebbe accaduto niente, ma all’improvviso si sentì un rumore di aerei che cominciarono a lanciare dei bengala; mio padre che aveva fatto la prima guerra mondiale e sapeva di che cosa si trattasse, ci disse di uscire subito di casa e di andare in aperta campagna, e così si fece. Ma appena fatto un chilometro si cominciò a sentire il sibilo delle bombe che stavano cadendo. Sotto consiglio di mio padre mi gettai in terra, per il pericolo dello spostamento d’aria, ma mia madre spaventata, continuava a scappare; io non sapevo come impedirglielo e mi gettai su di lei e con il peso del mio corpo le impedii di fuggire. Credo che in quel momento io abbia provato una grande paura: gente che urlava da ogni parte, terrorizzata, bambini che piangevano attaccati al collo delle proprie madri.

Quando fu tutto finito, si seppe che le bombe erano cadute a poca distanza da noi, e questo avvenne la sera di tutti i santi, ed era il primo bombardamento su Viareggio. Fortunatamente non ci furono morti.

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                                                                                          Case bombardate lungo la via Pinciana

Il giorno dopo, i miei genitori decisero che non era più possibile restare a casa nostra, dato che in linea d’aria eravamo molto vicini alla stazione, obbiettivo molto ricercato dal nemico. Così verso sera, preso il minimo indispensabile, si andò ad abitare da mia sorella che abitava in aperta campagna, lontana da obbiettivi militari; lì si trascorsero alcuni mesi, non privi comunque di terrore, con continui bombardamenti sia di giorno che di notte, con diversi nostri conoscenti feriti sotto le macerie. Un giorno che il bombardamento fu ancora più tremendo con parecchie vittime, mia madre che fra tutti era quella che si spaventava di più, decise che anche in campagna non era più il caso di stare. Così, insieme ad altre famiglie che abitavano vicino a noi, si decise di sfollare e si partì per la montagna. Ora, ripensandoci, mi viene quasi da ridere, ma allora la cosa era molto più tragica. Dovete pensare che questa gente che venne con noi aveva un asino con un barroccino, e su questo caricammo il più possibile. Mio nonno lo guidava ma dovete pensare che quando si partì era notte fonda e nessuna luce illuminava il nostro cammino.

Arrivammo a  Bargecchia a notte ormai inoltrata ma fummo accolti con tanto affetto e cortesia. Purtroppo non poterono ospitarci tutti in casa loro, ma ci offrirono un fienile,  per noi una reggia. Finalmente dopo tanti mesi potevamo dormire in pace.

Il mattino seguente mio padre e mio cognato cercarono di rendere il più possibile accogliente il nostro alloggio, e per fortuna in questo fienile ci passava una canna fumaria e così poterono costruirci un caminetto. Questo rese l’alloggio quasi confortevole, tanto da  prepararci qualcosa di caldo; ben poco perchè tutto era tesserato, ma fra i tanti noi eravamo i più fortunati perchè mio padre e mio cognato avevano del terreno e in quel periodo avevano seminato molto grano che naturalmente ci fu molto utile.

Ricordo ancora quando mia madre faceva il pane. I bambini delle famiglie vicine lo divoravano con gli occhi. E così mia madre non poteva fare a meno di dargliene una fetta. Ancora, ripensandoci, mi sento sempre stringere il cuore rivedendo quei visini tristi con gli occhietti spaventati che divoravano quel pane come fosse stato un dolce.

Fra tanto pericolo, però, ogni tanto la giovane età prendeva il sopravvento. Assieme ad altri miei coetanei organizzavamo delle piccole feste da ballo e nonostante tutto riuscivamo a divertirci. Ricordo una sera che ero uscita e quando rientrai trovai mio nonno che mi aspettava, e vi lascio immaginare le conseguenze. Era una persona buona, ma severa, e non ammetteva che uscissi di notte; ma nonostante la severità di mio nonno, quando potevo continuai ad uscire: aspettavo che si addormentasse e poi via verso la libertà. Ancora, a distanza di molti anni, penso che non facevo niente di male, anzi era più che giusto: sono stati gli unici divertimenti dei miei vent’anni.

Passarono così alcuni mesi, non male ma neppure bene. Quasi tutti i giorni assieme, a mio padre, scendevo dalla collina case per cercare di rimediare qualcosa da mangiare e poi tornavamo alle nostre, ma purtroppo le cose andavano sempre peggio. I tedeschi si facevano sempre più feroci e i rastrellamenti erano sempre più frequenti.

Mio padre assieme a mio cognato, costruirono un nascondiglio così ben fatto che nessuno l’avrebbe mai scoperto,  ma purtroppo la malvagità umana non ha limiti. Un pomeriggio, mio padre e mio cognato si nascosero perchè il paese era invaso dai tedeschi che deportavano in Germania. Uno del paese andò al nascondiglio e gli disse di uscire perchè i tedeschi se n’erano andati. Ma appena fuori furono catturati. Mio cognato che aveva una bimba piccola e la moglie incinta,  chiese ai soldati tedeschi se poteva salire in casa per salutarle, ma loro, puntandogli il mitra contro, gli fecero segno di andare via. In quel momento non ci vidi più: per la forza della ribellione e forse l’incoscienza della mia giovane età, presi il tedesco per il collo e se ne avessi avuto la forza l’avrei strozzato. Ma l’altro che era con lui mi puntò il mitra alla schiena. Non potrò mai dimenticare quei momenti. Sentii una fitta dalla testa fino ai piedi. Mio padre capì di quanto fosse drammatico quel momento e disse a mio cognato di andare subito con loro. Che momento tremendo: mia madre che urlava, mia sorella già in avanzato stato di gravidanza che mi svenne tra le braccia. Il giorno dopo si seppe che li avevano portati a Lucca, alla Casa Pia, e mia madre andò a trovarli a piedi, facendo chilometri, portandogli alcuni generi di conforto. Dopo pochi giorni mio padre venne rilasciato, un po’ per l’età e un po’ perchè era in possesso di alcuni documenti rilasciati dal comando tedesco in quanto era un funzionario delle ferrovie, mentre mio cognato purtroppo venne deportato in Germania e per due anni non si seppe più nulla. In seguito fuggì dal campo di concentramento ed andò in Olanda, ma anche là la situazione non era delle migliori, ma almeno la vita era al sicuro.

Passarono pochi giorni e mio padre fu preso di nuovo, e questa volta la causa era anche peggiore, perché fu preso come ostaggio.. Quando penso a quei momenti non so chi mi ha dato il coraggio di continuare. Vedevo mio padre al muro con il plotone di esecuzione pronto a sparare ed anche allora costretta a reggere mia madre che voleva andare con lui, ma anche quella volta qualche santo pregò per noi. Ci fu lì in paese un tale chiamato Milano, non ho mai saputo se era il cognome o il soprannome. Comunque sia, per mio padre fu come un santo protettore. Essendo stato molti anni in Germania lui sapeva parlare bene il tedesco, e tanto fece, tanto indagò che scoprì che a uccidere il tedesco per cui era stato incolpato mio padre, fu un suo compagno d’armi. Così anche quel pericolo fu passato. Però non furono liberati, furono trattenuti per scavare delle trincee. Ebbene a distanza di più di 40 anni non posso fare a meno di piangere, tanta fu l’emozione che provai rivedendo mio padre con la pala sulla schiena che dal fondo della strada ci chiamò dicendoci “Coraggio, anche questa è passata …”. Passarono ancora dei mesi sotto il terrore dei tedeschi, ma finalmente un giorno si vide un grande trambusto, i tedeschi che cercavano di scappare e in paese circolavano voci che gli americani si stavano avvicinando. Fu in quel periodo che anche mio padre fu rilasciato perché in quei giorni anche i tedeschi non pensavano che a fuggire. Non ricordo il giorno preciso, ma certo era alla fine del mese di agosto, quando in paese giunsero gli americani: c’era il finimondo. Le campane suonavano a festa, la gente che cantava, e così finalmente potevamo cominciare a pensare al futuro. Mio padre tornando a casa, portò una fetta di pane e tutti restammo meravigliati nel vedere quel pane che era bianco, candido per noi abituati in quel tempo a mangiarne poco, nero e ruvido che sembrava che ci fosse macinata anche la paglia, e per noi sembrava un miracolo. E così finalmente liberati da quegli assassini, si cominciò a pensare al futuro.

Però non tutto era finito. Non c’erano più i bombardamenti ma cannonate, dato che il fronte si era fermato alle Focette. I tedeschi avevano trovato rifugio sulle montagne e non fu una cosa facile, e fu proprio in quel periodo che venne alla luce la piccola Ughetta. Alle prime doglie mio padre andò alla ricerca della levatrice; appena nata la bambina ricominciarono le cannonate e mia sorella con un materasso fu messa sotto il letto con la bambina al riparo dai calcinacci in caso di qualche proiettile.

Ma anche se con fatica gli americani ce la fecero a fare arrendere i tedeschi e passato anche questo pericolo si pensò di tornare a casa nostra, e finalmente venne anche quel giorno.

La ferrovia divelta dalle bombe all'altezza di Via Regia

La ferrovia divelta dalle bombe all’altezza di Via Regia

Col nostro carretto colmo di quel poco che eravamo riusciti a salvare, si partì per Viareggio. Ma quale disastro, quali rovine: da ogni parte che si passava erano macerie. Arrivati a casa non si poteva passare da quanto l’erba era cresciuta; ma con la buona volontà di tutti ben presto fu tutto ripulito e il sorriso tornò sulle labbra di tutti noi.

L’unico neo rimaneva il fatto di mio cognato. Ricordo ancora quel giorno, quanta gioia. Quando vedemmo arrivare prima suo fratello con un sorriso compiacente sulle labbra, io capii subito che doveva esserci qualcosa di nuovo. Non persi tempo e fui la prima a corrergli incontro. Lo vidi sulla strada con la valigia che veniva verso di noi. Quale gioia. Dietro di me c’era mia sorella con la piccola Ughetta che mio cognato non sapeva neppure essere nata. Che emozione. Vedevo finalmente quella famiglia finalmente riunita. Tutto era passato, e anche io e i miei genitori potevamo tornare alla nostra casa e lasciare mia sorella con il suo tanto atteso marito.

Ma anche se ormai sono passati molti anni e io sono ormai alle soglie della vecchiaia e sono un’anziana nonnetta, non potrò mai dimenticare quegli anni che hanno segnato nel mio fisico e nel mio animo dei solchi profondi che mai nessuno potrà cancellare. Speriamo che anche quando non ci sarò più e i miei nipoti leggeranno queste righe, spero che odieranno la guerra come l’ho odiata io, che ha distrutto i migliori anni della mia vita.

Scusate gli errori di ortografia perché purtroppo ho soltanto la quinta elementare.

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