CIRCOSCRIZIONE VIAREGGIO NUOVA
LICEO SCIENTIFICO STATALE “BARSANTI E MATTEUCCI” VIAREGGIO
LO STABILIMENTO DEI MARMI
AL QUARTIERE VARIGNANO DI VIAREGGIO
a cura di
Stefano Carlo Vecoli

Società Marmifera Nord Carrara, inizio Novecento
UNA PROFICUA SINERGIA TRA ISTITUZIONI TERRITORIALI E SCUOLA MEDIA SUPERIORE
La Circoscrizione Viareggio Nuova ha da tempo privilegiato i rapporti con la scuola ed ha scelto di favorire i progetti didattici che valorizzino le capacità progettuali del gruppo e le competenze acquisite da ogni alunno e alunna.
I progetti presentatici dal Liceo Scientifico Statale “Barsanti e Matteucci”, relativi alle attività svolte dalle classi seguite dal prof.Stefano Carlo Vecoli, hanno sempre risposto alle richieste e alle prospettive culturali della Circoscrizione, pertanto hanno ricevuto approvazione e sostegno.
In particolare questo ultimo è nato proprio su nostra richiesta, per poter conoscere meglio un sito del nostro territorio, che è stato luogo di lavoro per molti ed un valido esempio di architettura industriale del primo ‘900.
Ringrazio pertanto il prof.S.C.Vecoli per l’interesse e la sensibilità mostrati nello svolgere il proprio lavoro, tutti gli alunni e le alunne che hanno dato prova di saper cogliere le occasioni didattiche loro offerte con disponibilità e desiderio di apprendere, il Dirigente Scolastico e quanti hanno favorito e reso possibile la pubblicazione.
La Presidente Stella Del Carlo
MEMORIA DEL TERRITORIO
Stiamo attraversando anni di grandi trasformazioni a livello globale e a cui non sfugge neppure il nostro ‘particolare’. La città in cui viviamo sta cambiando rapidamente, si adegua a nuove esigenze. Lo stabilimento dei ‘Marmi’ in via Aurelia Sud al Varignano è in disuso da alcuni anni, sarà presto ristrutturato e ne scaturiranno nuove funzioni e destinazioni.
Ma cos’è stato prima? Quali storie umane e sociali si sono svolte tra le sue mura, quale impatto economico ha avuto per quasi tutto il secolo passato?
Nacque intorno al 1925 come Deposito e Direzione Commerciale della Società Marmifera Nord-Carrara, passerà poi alla Società Montecatini-Montedison fino alla fine del 1900. Ha accompagnato quindi la nostra città al terzo millennio producendo lavorati in marmo per la Toscana, l’Italia ed il resto del mondo. Appena aperto, nell’aprile del 1926, lo scultore Domenico Rambelli vi andava a cercare e visionare i marmi per il basamento dell’erigendo Monumento ai Caduti, ideato da Lorenzo Viani, che di lì a poco sarebbe sorto in Piazza Garibaldi a Viareggio.
Raccogliere parte di questa storia e lasciarne testimonianza alle nuove generazioni è stato il filo conduttore che ha guidato la ricerca compiuta dagli studenti del Liceo Scientifico “Barsanti e Matteucci” di Viareggio. Il lavoro durato diversi mesi si è articolato su più piani: il rilievo degli edifici, la raccolta delle fonti documentarie e di contatti diretti con operai e dirigenti che vi hanno lavorato.
Gli studenti hanno svolto diverse funzioni: eseguendo il rilievo degli edifici, ricercando notizie e documenti in biblioteca o improvvisandosi intervistatori. Sono state messe a frutto le competenze acquisite durante i cinque anni di corso di disegno geometrico e nelle lezioni pomeridiane di CAD (Computer Aided Design) tenuto da un nostro ex-studente e neo ingegnere Raffaele Righini.
Il volume che state sfogliando rappresenta la sintesi amalgamata di questa ricerca tanto più preziosa in quanto ha riunito e sistematizzato fonti orali, scritte, fotografiche e grafiche che con il passare del tempo potevano andare disperse.
Particolari ringraziamenti vanno, per la disponibilità e per il materiale fotografico, all’Ing. Silvano Mancini, per la cortesia con cui hanno scavato nei loro ricordi ai signori Ivano Gherardi, Alfredo Marchetti e Mario Lattanzi e naturalmente al Presidente della Circoscrizione Viareggio Nuova, Dott.ssa Stella del Carlo e al Coordinatore della Commissione Cultura Dott.Moreno Bucci.
prof. Stefano Carlo Vecoli
BREVE STORIA DELLO STABILIMENTO MARMI AL QUARTIERE VARIGNANO DI VIAREGGIO
Parlare del marmo a Viareggio vuol dire parlare dell’attività al Varignano che sorse nel 1925 circa, ad opera della Soc.Marmifera Nord Carrara che aveva avviato tutte le lavorazioni a nord della Apuane (da qui il mome della società). Questa società costruì lo stabilimento di Viareggio che, oltre al raccordo ferroviario, poteva servirsi del porto per le spedizioni via mare anche se limitate al bacino del Mediterraneo. Questo sviluppo arrivò in conseguenza dei risultati delle ricerche marmifere avvenute in Garfagnana ai primi del 900 nei comuni di Minacciano e Vagli di Sotto. Furono aperte cave nei bacini di Acqua Bianca, Orto di Donna e Vagli di Sopra i cui blocchi, dopo l’estrazione venivano avviati, in un primo tempo, ai depositi di Piazza al Serchio e
Castelnuovo Garfagnana dove non esistevano impianti di trasformazione.
Questi depositi sulle montagne, erano fuori mano e a quei tempi scomodissimi per la clientela che aveva bisogno di scegliere i materiali fra le diverse qualità disponibili. Pertanto Viareggio fu ritenuta una piazza adatta, allo stesso livello di Carrara e Pietrasanta.
L’area disponibile di oltre 40mila mq aveva accesso a nord dalla via Aurelia, a sud dalla via dei Marmi mentre su tutto il fianco ovest era accostata alla ferrovia Pisa-Genova: un’ubicazione pertanto ottimale per le comunicazioni stradali, ferroviarie e marittime.
Vennero costruiti la segheria, il laboratorio e gli uffici tecnici, amministrativi e commerciali con un impiego di 200/300 dipendenti per tutte le specializzazioni ed ai vari livelli.
Furono effettuati corsi di qualificazione per cui il complesso fu presto in grado di assolvere ad ogni tipo di impiego. La segheria aveva un impianto di 16 telai multilame per la riduzione dei blocchi in lastre di vario spessore.
Allora i telai funzionavano con una miscela abrasiva di acqua e sabbia silicea che veicolata nelle lame a movimento alternato abradeva il marmo realizzando le “cale” /avanzamento) che sul marmo bianco comune erano di circa 1 cm l’ora. La sabbia silicea veniva estratta dalle cave di sabbia del lago di Massaciuccoli per cui anche per questo aspetto l’impianto di Viareggio era ben ubicato.
Il laboratorio era il reparto che trasformava generalmente le lastre in semilavorati e prodotti finiti.
E semilavorati erano manufatti piano sega destinati alle pavimentazioni che venivano lucidati in opera, mentre i prodotti finiti erano lastre di rivestimento piano levigato o lucido destinati a rivestire pareti verticali, gradini, sia come “pedate” che come “alzate”, ed altri parti architettoniche.
Il laboratorio aveva fresatrici che effettuavano tagli rettilinei delle lastre, generalmente a 2 cm ed oltre. Le fresatrici erano costituite sinteticamente da un bancale su cui veniva piazzata la lastra, bancale che si spostava longitudinalmente alla macchina e da un montante sede di un disco abrasivo che ruotando tagliava la lastra che avanzava contro il disco di rotazione. La parte abrasiva del disco aveva allora una corona abrasiva dicarburundum che tagliava la lastra.
Questi dischi allora erano abbastanza pericolosi perchè soggetti, se troppo sollecitati, a rompersi e per la forza centrifuga ad essere proiettati a distanza (oggi si impiegano dischi a concrezione metallica diamantata).
Per la lucidatura dei piani delle lastre, in laboratorio si impiegavano macchine manuali dette “manettoni” che disponevano di piatti abrasivi che ruotavano mossi da un motore verticale e che l’operaio spostava su tutto il piamo della lastra. Il piatto aveva un impasto di abrasivo finissimo con magnesite e lavorava ad umido per non lasciare rigature (cioè veniva irrorata abbondante acqua mentre il “piatto” ruotava spostandosi). I piatti avevano più gradi di abrasivo da più grosso a sempre più fino, in quanto il processo di levigatura non è che una successione di levigature sempre più fini. Per la lucidatura finale veniva utilizzato un piatto con feltro che, sempre ad umido, distribuiva un appretto di varia natura a seconda del tipo di marmo da lucidare.
Oggi esistono macchine automatiche che lucidano meccanicamente in maniera molto veloce e con prodotti lucidanti sintetici molto efficaci, limitando l’intervento dell’uomo alla sola sorveglianza.
Allora la lucidatura delle “coste”, dei “ribassi”, delle “teste” si operava manualmente e gli addetti levigavano con pietra pomice e lucidavano con acido ossalico e stracci di cotone al posto dei feltri dei manettoni.
Una funzione importante era quella dello scalpellino, che costituiva un reparto a se stante e complementare, in quanto oltre a correggere e ad aggiustare imperfezioni dei tagli operava autonomamente tutta una serie di operazioni come raccordi fra lastre, giunti, ribassi, ecc. Era addetto alle modanature dei bordi ed al premontaggio delle parti da spedire.
Nel reparto scalpellini si dava forma manualmente alla scultura dei bassorilievi, a componenti di balaustre, capitelli e tutta una serie di elementi a massello.
L’ufficio tecnico preparava i disegni secondo il progetto iniziale del committente, ma l’esecuzione avveniva con l’ausilio di massuolo e della subbia di varie dimensioni a seconda di ciò che doveva essere eseguito.
Oggi molto avviene con macchine copiatrici azionanti free o martelli scalpellatori che si muovono a disegno secondo programmi a controllo numerico. Comunque le rifiniture vengono eseguite ancora oggi manualmente e con l’ausilio di apparecchi elettrici.
In deposito i blocchi e le lastre erano divise per qualità e movimentati con carriponte o gru a cavalletto, il tutto in maniera ordinata affinchè fosse possibile la scelta, il controllo di qualità, ecc.
In deposito avveniva il controllo a secondo della provenienza, bacino per bacino.
Il pezzame di marmo che veniva prodotto dal taglio delle lastre era venduto come “cocciame”, suddiviso per qualità ed utilizzato dal cliente per pavimentazioni cosiddette alla “palladiana”.
Come parte negativa della produzione si avevano fanghi provenienti dalla segagione e dalla lavorazione, che opportunamente decantati in vasche apposite venivano trasportati alla discarica che nella zona di Viareggio era situata alla cave esauste del Brentino.
Lo stabilimento costruito dalla Marmifera Nord Carrara al Varignano, verso il 1930 venne assorbito dalla Soc.Montecatini che aveva acquistato alcune importanti cave a Carrara. Nei primi anni ’60 con la costruzione del Nuovo Centro Marmi a S.Rocchino, la Montecatini accentrò tutte le lavorazioni in quel complesso e la vecchia area del Varignano venne ceduta a terzi, i quali lavorarono sempre il marmo fino al 1998, data in cui cessò ogni attività lavorativa.
Ing.Silvano Mancini

Rilievo, disegno grafico al CAd e colorazione manuale a matita degli uffici commerciali eseguito da:
Lorenzo Bianchini, Marco Simonelli e Irene Martinelli.

Rilievo, disegno grafico al CAd e colorazione manuale a matita del laboratorio marmi eseguito da:
Simone Belli, Eugenio Lonigro e Alessandro Puosi
INTERVISTA AGLI OPERAI IN PENSIONE
Ivano Gherardi, Alfredo Marchetti e Marino Lattanzi, tre ex dipendenti della Montedison sono stati simpaticamente ‘interrogati’ da Alessandro Puosi e Marco Simonelli nella sede del Circolo “Il Fienile” al Varignano.
Per quanto tempo ha lavorato alla Montedison?
Ivano Gherardi: “Io ho lavorato per circa 40 anni, però tra Montedison e Imeg. Al Varignano iniziai nel ’60 fino al ’67 e sono entrato a lavorarci quando avevo 18 anni“. Alfredo Marchetti: “Io invece entrai a 17 anni e ci lavorai 36 anni fino a quando andai in pensione.”
Che ruolo svolgevate all’interno dell’azienda?
Alfredo Marchetti: “Io entrai come apprendista e poi mi misi alla manutenzione telai. Da ragazzo, avevo appena 17 anni, mi diedero un’ampollina e mi misero ad ungere tutti i rapporti e le trasmissioni dei telai. In seguito passai operaio e facevo il meccanico. Poi dopo sei, sette anni andai a fare il capoturno ed eravamo otto operai.” Ivano Gherardi: “Io lavoravo in segheria: Entrai nello stabilimento come apprendista ma poi mi volevano tenere in quel ruolo e mi spostarono come manovale specializzato. Io ero abbastanza deluso ma fortunatamente dopo un po’ mi passarono operaio qualificato. Quando entrai nella segheria a lavorare si segava il marmo ancora con metodi antichi, con la rena e il fango. I telai penso che fossero sempre quelli di prima della guerra.”
Quali erano i rischi del mestiere?
Ivano Gherardi: “Rischi ce n’erano molti. La cosa più pericolosa era quando si mettevano le cinghie, che a me facevano paura. Queste cinghie, che erano di cuoio, andavano olivettate (olivettare:metodo di riparazione delle cinghie di trasmissione)tutte le volte che si strappavano, ma venivano sempre più corte e riandavano messe su. Quelli che lavoravano alla Montedison da più tempo di me, mi hanno sempre raccontato di un operaio che andò a rimettere la cinghia ma rimase attaccato con la camicia al telaio. Alfredo Marchetti: “Anche perchè prima c’era una massa volano con un grosso motore che mandava otto telai da una parte e otto dall’altra, e allora quando si strappava una cinghia la facevano aggiuntare con i telai in movimento e quest’operaio rimase attaccato alla trasmissione e venne trascinato con forza. Poi in seguito venne promulgata una legge secondo la quale quando si strappava una cinghia bisognava fermare tutti i telai e così uno con la scala montava su e un altro stava ai motori, si tirava su la puleggia e la cinghia rientrava.”
Avete mai subito qualche infortunio?
Ivano Gherardi: “Si, io mi portai via un pezzo di dito. Mi sono fatto male con una stanghella che aveva in fondo le bielle; la mano destra ce la feci a levarla ma la sinistra no, e mi tagliai un dito.”
Quanti eravate a lavorare alla Montedison?
Alfredo Marchetti: “Tra tutto lo stabilimento saremo stati circa 150 persone e tra l’altro c’erano anche molte donne.”
Quali erano i ruoli all’interno dell’azienda?
Alfredo Marchetti: “C’erano manovali, apprendisti, quelli che lavoravano nel laboratorio e lucidavano, gli scalpellini e le donne che lucidavano i contorni delle lastre di marmo perchè la macchina non lavorava quei punti.” Ivano Gherardi: “Però lo stabilimento era diviso così: c’era la portineria che aveva i suoi uffici, su c’era il magazzino, poi c’era il piazzale dove venivano scaricati e caricati camion e infine c’era il laboratorio che faceva i pezzi lavorati che venivano spediti.” Alfredo Marchetti: “E la segheria che segava il marmo e ne faceva lastre.”
Il marmo arrivava tutto da Carrara?
Ivano Gherardi: “No, veniva sia da Carrara che dalla Garfagnana.”
Come facevano i clienti ad acquistare il marmo?
Alfredo Marchetti: “I clienti venivano a scegliere il blocco, dopo aver deciso quale volevano, si mandava in segheria e si facevano le lastre, a questo punto le caricavano e le portavano via. A volte compravano anche blocchi interi.”
Come venivano fatti i disegni sul marmo?
Ivano Gherardi: “Allora i disegni venivano fatti dagli scalpellini a mano e con l’aria compressa a differenza di ora che vengono fatti tutti con le macchine.”
Quali erano le vostre condizioni di lavoro?
Alfredo Marchetti: “Sul primo non avevamo nulla. Dopo iniziarono a darci loro il necessario come le scarpe, gli stivali o le tute.”
Quante ore era il vostro turno lavorativo?
Alfredo Marchetti: “Era di otto ore e il sabato si faceva mezza giornata però bisognava fare mezz’ora in più tutte le mattine cosicchè dal lunedì si entrava alle 7:30 fino alle 12:00, poi il pomeriggio dalle 13:00 alle 17:00.” Ivano Gherardi: “Era lavorativo anche il sabato però noi si faceva mezza giornata sola e per recuperare l’altra mezza si lavorava tutti i giorni mezzora in più. Comunque i contratti la Montecatini li ha sempre rispettati. Noi eravamo dei signori a confronto a molti altri, per esempio alla Val di Chiana che era lì vicino. Anche per quanto riguarda la sicurezza sono stati sempre nel giusto, anche se una volta era quella che era.”
Nella segheria c’era rumore?
Ivano Gherardi: “Si, in segheria c’era un rumore veramente assordante, era una cosa incredibile, e di protezione non avevamo assolutamente nulla. Per comunicare tra di noi si parlava forte e così mi è sempre rimasto che quando sono in discussione con qualcuno mi si alza la voce. In seguito ci si capiva anche parlando piano perchè ormai ci si aiutava con i movimenti delle labbra.” Alfredo Marchetti: “Cera moltissimo rumore e si parlava forte. Poi quando si tornava a casa ci veniva da parlare forte anche lì”
Durante il lavoro si creavano polveri che facevano male se respirate?
Alfredo Marchetti: “Si, quando si mise il carborume c’era del rischio. Il carborume era una specia di limatura di ferro che si mescolava assieme alla rena e così il telaio scendeva più forte e segava un po’ di più.”
Che ruolo svolgeva alla Montedison?
Marino Lattanzi:”Ero un normale operaio, prima lavorai in segheria e successivamente al piazzale dove si scarica e si caricava.”
Per quanti anni ha lavorato alla Montedison?
Marino Lattanzi:”Ho lavorato per circa 30 anni senza mai muovermi. Entrai nel ’66 e sono uscito nel ’96.
Ha mai subito qualche infortunio?
Marino Lattanzi:”Si, questo qua alla mano. Lavorando alla gru, quando si giravano i blocchi di marmo si mettevano delle braghe negli angoli. Mentre si stava tenendo un blocco per passarci sotto queste braghe, ci scappò e mi prese la mano.”
Vi capitava di stare assieme prima o dopo il lavoro?
Ivano Gherardi: “Molte volte si andava la mattina prima e poi dopo il lavoro al bar “Lupo di Mare” che è vicino agli stabilimenti della vecchia Montedison. Si andava lì a bere qualcosa e riposarci un po’. Poi si facevano due chiacchiere anche con il “Lupo” che gestiva il bar d molto tempo e ci conosceva tutti. A volte succdevano delle scenette che ci facevano molto ridere ma poi bisognava subito tornare con la testa al lavoro e riconcentrarsi per il resto della giornata.”
Intervista a cura di Alessandro Puosi e Marco Simonelli
Quanto sopra è stato tratto integralmente dall’opuscolo stampato per conto della
Circoscrizione Viareggio Nuova e del Liceo Scientifico Statale “Barsanti e Matteucci” di Viareggio,
dalla “Edizioni L’Ancora” di Viareggio, nel mese di maggio 2007